È esperienza comune a molte persone il fatto che sempre più nel nostro operare ci troviamo a dover spendere energie per trovare soluzioni ai problemi, anziché limitarci semplicemente a “produrre” ciò che dovremmo in base alla nostra attività (beni, servizi ecc).
Sicuramente è questo uno degli effetti di un mondo in veloce trasformazione e sempre più complesso nel quale ovviamente assume un ruolo sempre maggiore l’incertezza: è proprio la mancanza di basi sicure sulle quali poter contare che genera una costante sensazione di indeterminatezza, che a sua volta genera problemi ai quali dobbiamo porre rimedio e trovare una soluzione, spesso in tempi stretti, con il conseguente investimento di energie che potrebbero essere finalizzate altrove.
In tale contesto assistiamo a tentativi di risposta agli eventi che potrebbero essere posti lungo un continuum che vede ai suoi estremi due fenomeni differenti, tra loro opposti: da un lato, troviamo il catastrofismo (l’impossibilità percepita nel trovare soluzioni, un senso di profonda e paralizzante impotenza). Al lato opposto, invece, troviamo il fanatismo (caratterizzato dalla certezza granitica di avere le soluzioni, spesso privata di uno sguardo situato e realistico sulla realtà). Entrambi gli estremi mostrano comunque un notevole gap non solo fra di loro, ma anche rispetto a una visione più realistica e produttiva della situazione.
Di fronte alle novità che ogni giorno siamo chiamati ad affrontare, per superare l’incertezza siamo costretti a immaginarci un futuro, seppur traballante ed incerto, basato su delle “prefigurazioni individuali” di ciò che “potrebbe accadere se….”. Spesso, però, queste prefigurazioni basate su ragionamenti di tipo cognitivo, e logico, che si caratterizzano come “scelte fondate sulla ragione”, si scontrano con i desideri, con la visione più pulsionale, istintiva ed edonica che ci caratterizza, le cosiddette “scelte fatte con il cuore”. Cuore e ragione, da sempre sono un binomio difficile da conciliare, con necessità opposte ed esigenze che, come scriveva bene Freud, ci spingono a confrontarci con Bisogni basati sul principio del piacere e bisogni che si appellano al principio di realtà.
L’impressione è che quanto più grande sia il gap fra le prefigurazione di ciò che realisticamente potrebbe accadere e ciò che al contrario desidereremmo che accadesse, tanto maggiore sarà la possibilità che le persone ricorrano alla trappola mentale del catastrofismo o del fanatismo.
Ma l’incertezza non è una sensazione che caratterizza solo gli uomini, ma è una realtà che trova spazio anche nelle aziende, soprattutto in esse: mai come negli ultimi anni, con l’avvento della globalizzazione, delle nuove manovre economiche e finanziarie, le aziende sono state travolte da terremoti strutturali che ne hanno minato la stabilità.
Gli investimenti sono sempre più difficili in quanto richiedono la capacità di bilanciarsi tra la valorizzazione del capitale umano, la scelta di strategie di mercato che siano etiche, in grado di garantire ai consumatori un prodotto di qualità, ma, nello stesso tempo, la tentazione di voler risparmiare, di migrare verso paesi in cui la manodopera ha un costo minore e il gravo fiscale è meno pesante.
L’azienda, dunque, è divenuta un polo che vede al suo interno personaggi e bisogni contrapposti: da una parte un consumatore sempre più bulimico, sottoposto a stimolazioni e richiami sempre nuovi, ammaliato da un mercato rapido, in continua evoluzione e movimento e, per questo, sempre più difficile da fidelizzare. Dall’altro, il mondo delle dinamiche aziendali, di tipo produttivo e strategico, certo, ma anche di tipo relazionale tra i dipendenti.
In un regime di incertezza simile, le ricerche di mercato possono costituire un punto fermo, razionale e sicuro, su cui fare affidamento e a cui ricorrere per riordinare in modo equilibrato la realtà. Una ricerca ben fatta e, prima ancora, ben pensata e strutturata in seguito ad un’amplia analisi dei bisogni, permette di scendere a patti con le necessità di tipo razionale e quelle di tipo emotivo. Necessità e desideri, infatti, non devono per forza essere messe agli antipodi, ma possono essere studiate al fine di analizzarne il gap e trovare punti di incontro, compromessi, elementi di compatibilità.
Studiare l’incertezza, cogliendo la situazione di partenza, permette all’istituto di ricerca di formulare all’azienda soluzioni nuove, direzioni verso cui muoversi ma, soprattutto, di ricavare una conoscenza approfondita e veritiera dello stato attuale. Per studiare il clima aziendale o le sensazioni del consumatore connesse al brand possono essere utilizzati strumenti di tipo proiettivo, di cui la ruota dell’esperienza costituisce un esempio, ma non ne esaurisce le possibilità.
Restare ancorati al passato, rimpiangendone la floridità e la prevedibilità dei flussi di mercato, la persuasibilità del consumatore, non è una strategia aziendale funzionale per fronteggiare l’incertezza attuale che caratterizza il nostro tempo. Fronteggiare tale incertezza, con l’obiettivo di misurare il gap tra la realtà immaginata e la realtà desiderata permette di compiere scelte più funzionali, più adattive, modellate sul contesto. Farlo non è facile, certo, ma trovare un buon istituto di ricerca, capace di fare affidamento non solo sui numeri, ma anche sui vissuti emozionali ed esperienziali delle persone, di interpretarli e riorganizzarli, costituisce una risorsa su cui vale la pena contare.
Molte aziende oggi vedono le ricerche di mercato come un costo, una spesa superflua, ma sarebbe più corretto vedere la ricerca come un investimento, un porto su cui fare affidamento per governare l’incertezza e la complessità, guardarsi intorno e ripartire. Perché, come dice una saggezza popolare antica “non esiste vento favorevole, per il marinaio che non sa dove andare”.