Sarà una contraddizione, ma il tema che andremo ad affrontare oggi è tutt’altro che “vecchio” e superato, anzi l’attualità del problema dell’assistenza agli anziani ci porta ancora una volta ad evidenziare una delle tante tematiche affrontate durante l’Osservatorio sul bilancio di welfare delle famiglie italiane (per chi non fosse aggiornato, facciamo riferimento ai tre post pubblicati precedentemente).

La domanda che ci poniamo è: quali saranno le misure necessarie da adottare nei prossimi anni per garantire un’adeguata cura e una buona qualità di vita ad un anziano non autosufficiente?

Diverse statistiche hanno evidenziato come la salvaguardia della salute di questi anziani sia una questione urgente da affrontare nell’ambito della salute pubblica. Le ricerche si sono focalizzate sull’attuale grado di invecchiamento della popolazione italiana, l’aumento sempre crescente dell’aspettativa di vita ed il conseguente maggiore bisogno di cure fornite dalle strutture pubbliche (SSN) e private.

Da questa ricerca sul welfare sono emersi alcuni dati interessanti: in primis possiamo dire che sono 1,758 milioni le famiglie italiane con persone non autosufficienti. Un secondo dato rilevante è che nel 79% dei casi la cura è affidata ai familiari stessi senza alcun aiuto esterno. Quest’ultimo dato in particolare ci porta ad una riflessione importante per cui ci troviamo davanti ad un fenomeno dal duplice volto: da una parte l’esigenza delle famiglie di poter ricevere cure e assistenza per queste persone, dall’altra il rifiuto e la resistenza psicologica e culturale degli anziani a ricevere queste cure e servizi. Solo nelle metropoli italiane sono infatti il 56,5% gli anziani che rifiutano di ricevere assistenza esterna e che dunque si affidano alla fine alle sole cure dei familiari (con qualche resistenza anche in questo caso). Sicuramente la rilevanza del fattore economico gioca a favore della rinuncia all’affidamento degli anziani a strutture esterne, vuoi anche per motivi legati alla scarsa attenzione ai servizi offerti. Sono soprattutto le famiglie agiate che spendono per badanti, strutture residenziali o ASA (ausiliari socio assistenziali) con una spesa media annua di circa 8.600 euro; per tutti gli altri casi, si fa di necessità virtù, accudendo l’anziano non autosufficiente personalmente a casa.

Sembra però che si sia aperta una speranza: molto recentemente – appena dopo la presentazione della ricerca sul welfare di cui abbiamo fatto parte – il Governo ha deciso di stanziare dei fondi per il sostegno dei “caregiver familiari”, ovvero quelle persone che assistono familiari gravemente malati, in maniera non professionale. Per la precisione si tratta di “20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 per la copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare” (fonte: LaRepubblica.it).Una manovra sicuramente decisiva per agevolare le persone che si occupano dei propri cari in casi in cui l’impossibilità economica non permette di usufruire dei servizi di strutture professionali esterne.

La figura dell’anziano rappresenta non solo l’incarnazione del compimento delle fasi cicliche della vita ma è anche una figura di fondamentale riferimento per le famiglie (soprattutto per i bambini, che spesso sono affidati ai nonni). L’assistenza agli anziani non autosufficienti necessita dunque di un’evoluzione, di un passaggio dal “curare” al “prendersi cura” della persona, nella complessità e globalità dei suoi bisogni, con un’attenzione e comprensione anche alla famiglia e al contesto sociale di riferimento.